«La piena affermazione di un diritto punitivo della Comunità internazionale su tutti gli individui colpevoli dei più gravi crimini contro la pace e la sicurezza del genere umano» è stata consacrata nello Statuto di Roma del 1998, così affermando la necessità di quel «diritto internazionale penale», per lungo tempo negata e oggi reclamata dal «sentimento giuridico degli individui e dei popoli» .Con l’introduzione dello Statuto di Roma giunge a compimento il lungo cammino per l’affermazione del principio della responsabilità penale personale nel diritto internazionale penale, iniziato, in particolare, dopo il primo conflitto mon-diale quando si modifica quell’atteggiamento per cui i belligeranti potevano proce-dere alla repressione delle condotte sanzionate limitatamente alla durata del con-flitto e per la prima volta i trattati di pace si preoccupano di perseguire i colpevoli di determinate violazioni del diritto dei conflitti armati o del diritto umanitario . Il carattere brutale nella conduzione delle ostilità durante la Prima guerra mondiale, con l’uso di gas velenosi e armi chimiche, fa sorgere l’esigenza di reagire a tali cri-mini contro l’intero genere umano attraverso la diretta responsabilizzazione degli individui-organi statali, autori di tali crimini, e, in tal modo, dello Stato nella sua organizzazione, così sancendo l’inizio dell’elaborazione di una forma di responsa-bilità individuale che non si sostituisce ma si aggiunge a quella collettiva . Dopo il secondo conflitto mondiale, poi, nell’art. 6 dello Statuto del Tribunale di Norimberga e nell’art. 5 dello Statuto del Tribunale di Tokyo si è affermato so-lennemente il principio della responsabilità penale individuale, sancendo la giuri-sdizione sui comandanti militari così come sui leader nazionali ; si prevede che il crimine di guerra può essere il risultato della decisione di un sovrano o dei suoi ministri, mentre i comandanti possono essere responsabili di “crimini contro la pace”. Alla base del principio della responsabilità personale si afferma l’idea che, co-me sancito nella storica sentenza del Tribunale di Norimberga, «i crimini sono commessi da uomini, non da entità astratte, e soltanto punendo gli individui che commettono tali crimini si può dare effettivamente attuazione alle previsioni del diritto internazionale. La vera essenza della Carta [di Norimberga] è rappresentata dall’affermazione del principio che gli individui hanno doveri internazionali che trascendono gli obblighi nazionali di obbedienza imposti dal proprio Stato. Colui che viola la legge di guerra non può ottenere l’immunità perché agisce in confor-mità alle disposizioni del proprio Stato, se lo Stato nell’autorizzare delle azioni agi-sce al di fuori della sua competenza in base alla legge internazionale ». Il principio di legalità viene così superato .Lo Statuto della Corte Penale Internazionale del 1998 riconosce, infine, il ca-rattere individuale della responsabilità penale per i crimini di guerra e i crimini con-tro l’umanità (art. 25) .Alla base dello Statuto si pone la presa di coscienza del fatto che persone, che agiscono in virtù dell’autorità di uno Stato o di un’organizzazione, possono utiliz-zare gli strumenti e le capacità di tali apparati di potere per commettere crimini in-ternazionali, con la conseguente esigenza di prevenire e punire tali crimini . I cri-mini che rientrano nella giurisdizione della Corte, infatti, sono la tipica espressione di una politica di Stato, che non può essere realizzata se non con la direzione di persone che sono poste ai più alti vertici dello stesso Stato o comunque che di-spongono di notevoli poteri e capacità di influenza; basti pensare che i crimini contro l’umanità devono essere realizzati nell’ambito di un attacco ampio e siste-matico, i crimini di guerra (per rientrare, «in particular», nella giurisdizione della Corte) devono essere espressione di un piano o politica o essere consumati su lar-ga scala, a parte che per le loro stesse caratteristiche devono essere realizzati da persone che rivestono posizioni di potere, ad esempio l’estesa distruzione o ap-propriazione di beni (art. 2(a)(iv)), attacchi o bombardamenti (art. 2(b)(v)) . La connessione di tali crimini con persone in posizione di comando e legate ad una politica di Stato comporta, del resto, che lo Stato non ha la volontà o la ca-pacità di difendere le vittime, essendo esso stesso coinvolto nella consumazione dei crimini, anzi spesso, addirittura, i crimini sono l’espressione di una politica sta-tale di vittimizzazione della popolazione civile (anche l’art. 7 dello StCPI, l’art. 3 dello StTPR e l’art. 4 dello StTPY richiedono per la realizzazione di «crimini contro l’umanità” un “attacco generalizzato e sistematico contro la popolazione civile»), con la conseguenza che spetta alla comunità internazionale intervenire per garantire la tu-tela delle vittime, riportare la pace e la giustizia ; proprio la lesione dei diritti uma-ni da parte dello Stato e quindi l’impossibilità di ottenere giustizia a livello naziona-le, rende necessaria la creazione di un sistema di giustizia soprannazionale .Nell’ambito del diritto penale internazionale in relazione ai leader, a coloro che assumono una posizione di comando o, comunque, di potere nell’ambito delle organizzazione militari o statali, si è assistito, però, a partire dal secolo scorso, all’emergere di due fenomeni antagonisti: da una parte ad una graduale afferma-zione, come accennato, del principio della responsabilità penale personale, quale reazione contro l’impunità deresponsabilizzante garantita dalla teoria dell’atto di Stato; dall’altra, all’emergere di meccanismi di imputazione soggettiva elastici ed evanescenti, connotati in senso simbolico–espressivo e lontani da un rimprovero individualizzato nei confronti dell’agente, nell’ambito di un sistema penale interna-zionale orientato in senso general-preventivo, nella componente intimidatorio-dissuasiva . In tale contesto il presente lavoro cercherà di analizzare i modelli di responsa-bilizzazione dei leader previsti nello Statuto di Roma e l’elaborazione di tali model-li che si è manifestata nelle prime decisioni della Corte Penale Internazionale , nelle quali la Pre-Trial Chamber delinea già l’istituto dell’autoria, della coautoria e dell’autoria mediata, nonché i loro reciproci rapporti e i loro confini rispetto all’altro istituto previsto dallo Statuto per responsabilizzare i leader, la responsabili-tà da comando (art. 28 StCPI). Emergerà la difficoltà di delineare tali confini, di realizzare quella necessaria actio finium regundorum che le diverse forme di responsa-bilità richiedono affinché l’applicazione giurisprudenziale dello Statuto sia conforme ai principi di legalità e di colpevolezza.
Autoria, coautoria, autoria mediata e responsabilità da comando: «actio finium regundorum» alla luce della giurisprudenza della corte penale internazionale
MAUGERI, Anna Maria
2011-01-01
Abstract
«La piena affermazione di un diritto punitivo della Comunità internazionale su tutti gli individui colpevoli dei più gravi crimini contro la pace e la sicurezza del genere umano» è stata consacrata nello Statuto di Roma del 1998, così affermando la necessità di quel «diritto internazionale penale», per lungo tempo negata e oggi reclamata dal «sentimento giuridico degli individui e dei popoli» .Con l’introduzione dello Statuto di Roma giunge a compimento il lungo cammino per l’affermazione del principio della responsabilità penale personale nel diritto internazionale penale, iniziato, in particolare, dopo il primo conflitto mon-diale quando si modifica quell’atteggiamento per cui i belligeranti potevano proce-dere alla repressione delle condotte sanzionate limitatamente alla durata del con-flitto e per la prima volta i trattati di pace si preoccupano di perseguire i colpevoli di determinate violazioni del diritto dei conflitti armati o del diritto umanitario . Il carattere brutale nella conduzione delle ostilità durante la Prima guerra mondiale, con l’uso di gas velenosi e armi chimiche, fa sorgere l’esigenza di reagire a tali cri-mini contro l’intero genere umano attraverso la diretta responsabilizzazione degli individui-organi statali, autori di tali crimini, e, in tal modo, dello Stato nella sua organizzazione, così sancendo l’inizio dell’elaborazione di una forma di responsa-bilità individuale che non si sostituisce ma si aggiunge a quella collettiva . Dopo il secondo conflitto mondiale, poi, nell’art. 6 dello Statuto del Tribunale di Norimberga e nell’art. 5 dello Statuto del Tribunale di Tokyo si è affermato so-lennemente il principio della responsabilità penale individuale, sancendo la giuri-sdizione sui comandanti militari così come sui leader nazionali ; si prevede che il crimine di guerra può essere il risultato della decisione di un sovrano o dei suoi ministri, mentre i comandanti possono essere responsabili di “crimini contro la pace”. Alla base del principio della responsabilità personale si afferma l’idea che, co-me sancito nella storica sentenza del Tribunale di Norimberga, «i crimini sono commessi da uomini, non da entità astratte, e soltanto punendo gli individui che commettono tali crimini si può dare effettivamente attuazione alle previsioni del diritto internazionale. La vera essenza della Carta [di Norimberga] è rappresentata dall’affermazione del principio che gli individui hanno doveri internazionali che trascendono gli obblighi nazionali di obbedienza imposti dal proprio Stato. Colui che viola la legge di guerra non può ottenere l’immunità perché agisce in confor-mità alle disposizioni del proprio Stato, se lo Stato nell’autorizzare delle azioni agi-sce al di fuori della sua competenza in base alla legge internazionale ». Il principio di legalità viene così superato .Lo Statuto della Corte Penale Internazionale del 1998 riconosce, infine, il ca-rattere individuale della responsabilità penale per i crimini di guerra e i crimini con-tro l’umanità (art. 25) .Alla base dello Statuto si pone la presa di coscienza del fatto che persone, che agiscono in virtù dell’autorità di uno Stato o di un’organizzazione, possono utiliz-zare gli strumenti e le capacità di tali apparati di potere per commettere crimini in-ternazionali, con la conseguente esigenza di prevenire e punire tali crimini . I cri-mini che rientrano nella giurisdizione della Corte, infatti, sono la tipica espressione di una politica di Stato, che non può essere realizzata se non con la direzione di persone che sono poste ai più alti vertici dello stesso Stato o comunque che di-spongono di notevoli poteri e capacità di influenza; basti pensare che i crimini contro l’umanità devono essere realizzati nell’ambito di un attacco ampio e siste-matico, i crimini di guerra (per rientrare, «in particular», nella giurisdizione della Corte) devono essere espressione di un piano o politica o essere consumati su lar-ga scala, a parte che per le loro stesse caratteristiche devono essere realizzati da persone che rivestono posizioni di potere, ad esempio l’estesa distruzione o ap-propriazione di beni (art. 2(a)(iv)), attacchi o bombardamenti (art. 2(b)(v)) . La connessione di tali crimini con persone in posizione di comando e legate ad una politica di Stato comporta, del resto, che lo Stato non ha la volontà o la ca-pacità di difendere le vittime, essendo esso stesso coinvolto nella consumazione dei crimini, anzi spesso, addirittura, i crimini sono l’espressione di una politica sta-tale di vittimizzazione della popolazione civile (anche l’art. 7 dello StCPI, l’art. 3 dello StTPR e l’art. 4 dello StTPY richiedono per la realizzazione di «crimini contro l’umanità” un “attacco generalizzato e sistematico contro la popolazione civile»), con la conseguenza che spetta alla comunità internazionale intervenire per garantire la tu-tela delle vittime, riportare la pace e la giustizia ; proprio la lesione dei diritti uma-ni da parte dello Stato e quindi l’impossibilità di ottenere giustizia a livello naziona-le, rende necessaria la creazione di un sistema di giustizia soprannazionale .Nell’ambito del diritto penale internazionale in relazione ai leader, a coloro che assumono una posizione di comando o, comunque, di potere nell’ambito delle organizzazione militari o statali, si è assistito, però, a partire dal secolo scorso, all’emergere di due fenomeni antagonisti: da una parte ad una graduale afferma-zione, come accennato, del principio della responsabilità penale personale, quale reazione contro l’impunità deresponsabilizzante garantita dalla teoria dell’atto di Stato; dall’altra, all’emergere di meccanismi di imputazione soggettiva elastici ed evanescenti, connotati in senso simbolico–espressivo e lontani da un rimprovero individualizzato nei confronti dell’agente, nell’ambito di un sistema penale interna-zionale orientato in senso general-preventivo, nella componente intimidatorio-dissuasiva . In tale contesto il presente lavoro cercherà di analizzare i modelli di responsa-bilizzazione dei leader previsti nello Statuto di Roma e l’elaborazione di tali model-li che si è manifestata nelle prime decisioni della Corte Penale Internazionale , nelle quali la Pre-Trial Chamber delinea già l’istituto dell’autoria, della coautoria e dell’autoria mediata, nonché i loro reciproci rapporti e i loro confini rispetto all’altro istituto previsto dallo Statuto per responsabilizzare i leader, la responsabili-tà da comando (art. 28 StCPI). Emergerà la difficoltà di delineare tali confini, di realizzare quella necessaria actio finium regundorum che le diverse forme di responsa-bilità richiedono affinché l’applicazione giurisprudenziale dello Statuto sia conforme ai principi di legalità e di colpevolezza.File | Dimensione | Formato | |
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