Il presente studio si propone di analizzare la radicale trasformazione della posizione della donna nei regolamenti istituzionali borbonici nella Sicilia nella seconda metà del XVIII secolo. Leggi, giurisprudenza ed istituzioni vigilavano sul ruolo della donna, moglie e madre: assicurando la continuità legittima della prole era garantita anche la continuità del patrimonio. La funzione riproduttrice della donna era concepita nello scandirsi di varie fasi, che andavano dal concepimento alla gestazione, dal parto all’allattamento. Tuttavia il parto e la maternità restavano i momenti ‘privilegiati’ della biografia femminile, rappresentando il riscatto dalla biblica soggezione all’uomo. La teoria della subordinazione della donna, costruita sull’autorità aristotelica e tomistica, teneva il campo anche nella cultura giuridica e laica, dando luogo a spiegazioni ‘naturali’ di tale inferiorità, identificandosi spesso con la c.d. ‘cultura dell’onore’. Ma l’onore non era considerato un concetto universale, quanto una categoria soggetta a cambiamenti nel tempo, nello spazio e nei contenuti: condensando l’insieme di attributi morali di ogni singolo individuo, esso rifletteva i valori propri del gruppo di appartenenza. Anche in questo ambito la donna era considerata soggetto passivo, sede e deposito dell’onore che era e rimaneva dell’uomo. La donna, attraverso il controllo sociale, politico-istituzionale esercitato sulla sua sessualità, e sulla sua capacità generatrice, diventava l’anello indispensabile per la trasmissione del patrimonio, in un sistema patrilineare come quello occidentale d’età moderna, da difendere contro ogni attacco allo status e all’ordine costituito. Una valenza rilevante assunse il dibattito suscitato per l’introduzione della pratica del taglio cesareo sulla donna in vita: rappresentò, non solo un’innovazione nella pratica terapeutica, ma anche una profonda rottura della tradizione, che sconvolgeva la gerarchia dei valori etici, deontologici, sociali. La pratica del cesareo segnava pertanto un’inversione della tendenza che aveva a lungo dominato; indicava l’emergere di una nuova deontologia professionale, di nuove sensibilità nei confronti della donna e del bambino, di nuovi valori morali. Donna, matrimonio, famiglia e maternità in Sicilia a metà del XVIII secolo furono oggetto di una fitta normativa sui luoghi, tempi e comportamenti legittimi. In questo lavoro si mira specialmente ad evidenziare il dibattito e l’intervento politico giuridico e religioso, in materia di stupro e maternità, facendo ricorso alla disamina delle consulte inedite della Giunta dei Presidenti e Consultore, depositate presso l’Archivio di Stato di Palermo.

Il controllo sul corpo sociale della donna nella Sicilia della seconda metà del XVIII secolo [The control over the social body of women in Sicily during the mid- eighteenth century]

RECCA CINZIA
Primo
2018-01-01

Abstract

Il presente studio si propone di analizzare la radicale trasformazione della posizione della donna nei regolamenti istituzionali borbonici nella Sicilia nella seconda metà del XVIII secolo. Leggi, giurisprudenza ed istituzioni vigilavano sul ruolo della donna, moglie e madre: assicurando la continuità legittima della prole era garantita anche la continuità del patrimonio. La funzione riproduttrice della donna era concepita nello scandirsi di varie fasi, che andavano dal concepimento alla gestazione, dal parto all’allattamento. Tuttavia il parto e la maternità restavano i momenti ‘privilegiati’ della biografia femminile, rappresentando il riscatto dalla biblica soggezione all’uomo. La teoria della subordinazione della donna, costruita sull’autorità aristotelica e tomistica, teneva il campo anche nella cultura giuridica e laica, dando luogo a spiegazioni ‘naturali’ di tale inferiorità, identificandosi spesso con la c.d. ‘cultura dell’onore’. Ma l’onore non era considerato un concetto universale, quanto una categoria soggetta a cambiamenti nel tempo, nello spazio e nei contenuti: condensando l’insieme di attributi morali di ogni singolo individuo, esso rifletteva i valori propri del gruppo di appartenenza. Anche in questo ambito la donna era considerata soggetto passivo, sede e deposito dell’onore che era e rimaneva dell’uomo. La donna, attraverso il controllo sociale, politico-istituzionale esercitato sulla sua sessualità, e sulla sua capacità generatrice, diventava l’anello indispensabile per la trasmissione del patrimonio, in un sistema patrilineare come quello occidentale d’età moderna, da difendere contro ogni attacco allo status e all’ordine costituito. Una valenza rilevante assunse il dibattito suscitato per l’introduzione della pratica del taglio cesareo sulla donna in vita: rappresentò, non solo un’innovazione nella pratica terapeutica, ma anche una profonda rottura della tradizione, che sconvolgeva la gerarchia dei valori etici, deontologici, sociali. La pratica del cesareo segnava pertanto un’inversione della tendenza che aveva a lungo dominato; indicava l’emergere di una nuova deontologia professionale, di nuove sensibilità nei confronti della donna e del bambino, di nuovi valori morali. Donna, matrimonio, famiglia e maternità in Sicilia a metà del XVIII secolo furono oggetto di una fitta normativa sui luoghi, tempi e comportamenti legittimi. In questo lavoro si mira specialmente ad evidenziare il dibattito e l’intervento politico giuridico e religioso, in materia di stupro e maternità, facendo ricorso alla disamina delle consulte inedite della Giunta dei Presidenti e Consultore, depositate presso l’Archivio di Stato di Palermo.
2018
storia di donne, Settecento, Sicilia, violenza, maternità, sentenze
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