Il lavoro parte dalla considerazione dello stalking e della violenza domestica come violenza di genere “in quanto colpisce in maniera sproporzionata le donne” (in base alla definizione dell’art. 3 l. d) della Convenzione di Instanbul) e quindi come espressione di discriminazione nei confronti delle donne, da affrontare anche attraverso la promozione dell’uguaglianza tra uomini e donne; per, poi, analizzare la disciplina delle aggravanti, se il reato è consumato da un uomo contro una donna nell’ambito di una relazione affettiva, introdotte nell’ordinamento spagnolo dalla “Ley Organica 1/2004 del 28 de diciembre, de Medidas de Protección integral contra la violencia de género”, per diverse fattispecie delittuose: “lesiones (art. 148.4.° CP)”, malos tratos y lesiones más leves (art. 153.1 CP), amenazas leves (art. 171.4 CP) e coacciones leves (art. 172.2 CP) . Tale disciplina richiede di inquadrare correttamente i singoli comportamenti nelle fattispecie sopra indicate, evitando eventuali discriminazioni nei confronti degli uomini: infatti non ogni forma di aggressione posta in essere nei confronti di una donna può essere giuridicamente considerata quale frutto di una forma di discriminazione o di esercizio di una certa forma di potere o di dominio dell’uomo nei confronti della donna che giustifichi l’applicazione di una pena più grave come prevista dall’art. 148 del codice penale spagnolo. La Corte Costituzionale Spagnola, nella sentenza 45/2010 del 28 luglio 2010, ha chiarito che nelle ipotesi in cui un uomo aggredisca e provochi lesioni ad una donna, sarà il Giudice che dovrà decidere di volta in volta se si tratta di “Violencia de genero”( intesa, come sopra spiegato, quale violenza frutto di una discriminazione da parte dell’uomo nei confronti di una donna, del genere maschile nei confronti del genere femminile), a seconda delle lesioni prodotte e dell’esistenza nel caso in concreto di una vera discriminazione nei confronti della donna. La Corte Costituzionale in tale sentenza ha stabilito che imporre una pena maggiore all’uomo non implica una forma di discriminazione nei suoi confronti (motivo per cui era stata sollevata questione di costituzionalità da un Giudice del Tribunale di Albacete) e che quindi le norme di cui all’art. 148 sono costituzionalmente legittime: infatti lo scopo delle modifiche introdotte agli artt. 147 e 148 è quello di proteggere la donna in un ambito in cui il legislatore considera che i beni fondamentali della vita, della salute e dell’integrità fisica nonché la sua libertà e dignità non siano sufficientemente protetti, considerando inoltre che l’obiettivo principale è quello di combattere ab origine tale tipo di violenza che si produce in un contesto di disuguaglianza, lottando mediante diversi tipi di misure, tra cui sono comprese, ovviamente, quelle penali .Il lavoro si propone quindi di analizzare se una simile strategia possa rivelarsi utile anche in Italia e, in un’ulteriore prospettiva di indagine, se possa essere utilizzata per affrontare il fenomeno della violenza domestica e dello stalking determinato da fattori culturali, che è uno dei problemi che si pone nella prassi crimonologica non solo italiana (recenti studi hanno evidenziato l’incidenza del fattore culturale nello stalking consumato in Germania a danno delle donne nella comunità di russa). Si inserisce così la problematica della lotta alla violenza di genere nella complessa questione della scelta delle strategie politico criminali più idonee ad affrontare i reati culturalmente motivati in una società multiculturale. Si dovrà verificare se tale strategia possa essere “idonea e necessaria”, nonché efficace in termini di diritto penale come extrema ratio e di rispetto del principio di uguaglianza costituzionalmente previsto, nonché percorribile senza che avvenga una strumentalizzazione dell’intervento penale per ottenere il consenso elettorale, in particolare da parte di forze politiche che tendono a strumentalizzare il fenomeno della violenza contro le donne per avallare politiche securitarie e magari discriminatorie nei confronti degli immigrati, in nome della sicurezza pubblica (nonché urbana).

Le “aggravanti” nei confronti degli uomini autori di “violenza di genere”: possibile strategia politico criminale o strumento di una politica della “sicurezza” discriminatoria nei confronti della violenza “culturalmente motivata”?

MAUGERI, Anna Maria
2016-01-01

Abstract

Il lavoro parte dalla considerazione dello stalking e della violenza domestica come violenza di genere “in quanto colpisce in maniera sproporzionata le donne” (in base alla definizione dell’art. 3 l. d) della Convenzione di Instanbul) e quindi come espressione di discriminazione nei confronti delle donne, da affrontare anche attraverso la promozione dell’uguaglianza tra uomini e donne; per, poi, analizzare la disciplina delle aggravanti, se il reato è consumato da un uomo contro una donna nell’ambito di una relazione affettiva, introdotte nell’ordinamento spagnolo dalla “Ley Organica 1/2004 del 28 de diciembre, de Medidas de Protección integral contra la violencia de género”, per diverse fattispecie delittuose: “lesiones (art. 148.4.° CP)”, malos tratos y lesiones más leves (art. 153.1 CP), amenazas leves (art. 171.4 CP) e coacciones leves (art. 172.2 CP) . Tale disciplina richiede di inquadrare correttamente i singoli comportamenti nelle fattispecie sopra indicate, evitando eventuali discriminazioni nei confronti degli uomini: infatti non ogni forma di aggressione posta in essere nei confronti di una donna può essere giuridicamente considerata quale frutto di una forma di discriminazione o di esercizio di una certa forma di potere o di dominio dell’uomo nei confronti della donna che giustifichi l’applicazione di una pena più grave come prevista dall’art. 148 del codice penale spagnolo. La Corte Costituzionale Spagnola, nella sentenza 45/2010 del 28 luglio 2010, ha chiarito che nelle ipotesi in cui un uomo aggredisca e provochi lesioni ad una donna, sarà il Giudice che dovrà decidere di volta in volta se si tratta di “Violencia de genero”( intesa, come sopra spiegato, quale violenza frutto di una discriminazione da parte dell’uomo nei confronti di una donna, del genere maschile nei confronti del genere femminile), a seconda delle lesioni prodotte e dell’esistenza nel caso in concreto di una vera discriminazione nei confronti della donna. La Corte Costituzionale in tale sentenza ha stabilito che imporre una pena maggiore all’uomo non implica una forma di discriminazione nei suoi confronti (motivo per cui era stata sollevata questione di costituzionalità da un Giudice del Tribunale di Albacete) e che quindi le norme di cui all’art. 148 sono costituzionalmente legittime: infatti lo scopo delle modifiche introdotte agli artt. 147 e 148 è quello di proteggere la donna in un ambito in cui il legislatore considera che i beni fondamentali della vita, della salute e dell’integrità fisica nonché la sua libertà e dignità non siano sufficientemente protetti, considerando inoltre che l’obiettivo principale è quello di combattere ab origine tale tipo di violenza che si produce in un contesto di disuguaglianza, lottando mediante diversi tipi di misure, tra cui sono comprese, ovviamente, quelle penali .Il lavoro si propone quindi di analizzare se una simile strategia possa rivelarsi utile anche in Italia e, in un’ulteriore prospettiva di indagine, se possa essere utilizzata per affrontare il fenomeno della violenza domestica e dello stalking determinato da fattori culturali, che è uno dei problemi che si pone nella prassi crimonologica non solo italiana (recenti studi hanno evidenziato l’incidenza del fattore culturale nello stalking consumato in Germania a danno delle donne nella comunità di russa). Si inserisce così la problematica della lotta alla violenza di genere nella complessa questione della scelta delle strategie politico criminali più idonee ad affrontare i reati culturalmente motivati in una società multiculturale. Si dovrà verificare se tale strategia possa essere “idonea e necessaria”, nonché efficace in termini di diritto penale come extrema ratio e di rispetto del principio di uguaglianza costituzionalmente previsto, nonché percorribile senza che avvenga una strumentalizzazione dell’intervento penale per ottenere il consenso elettorale, in particolare da parte di forze politiche che tendono a strumentalizzare il fenomeno della violenza contro le donne per avallare politiche securitarie e magari discriminatorie nei confronti degli immigrati, in nome della sicurezza pubblica (nonché urbana).
2016
violenza di genere; aggravante; discriminazione
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.11769/33512
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