The aim of this article is to rethink some recurring musicological topoi regarding Elektra by Hofmannsthal and Strauss, in the light of the most recent critical insights into his theatrical work and making use of Bryan Gilliam’s research on the compositional genesis of Strauss’s score. The hypothesis put forward here is that Hofmannsthal’s «Tragödie in einem Aufzug frei nach Sophokles» encouraged the composer to create a much more complex and compact musical dramaturgy compared to the one he achieved in Salome. He was influenced by the lucid deconstruction of the cultural and literary paradigm of the Western tradition carried out by Hofmannsthal in his theatrical drama. It is sufficient to mention his criticism of the limits of Freudian thought which is evident in the way he conceives the conversation between Elektra and Clytemnestra as a failed “analytical” relationship; the ironic use of the femme fatale icon, which is central to contemporary imagination; and above all the reversal of the Nietzschean vision of Greek ideals in the dramatic finale of the opera. Elektra’s “indescribable dance” not only reveals the loss of rational language, but becomes the expression of a devastated, dislocated corporeality, very far from the Pathosformeln of classical iconography. At the same time it reveals the unattainability of the Dionysian in the modern world. A detailed analysis of the compositional process makes it possible to verify how well Strauss succeeded in consciously translating the profound meaning of Hofmannsthal’s tragedy into a cogent musical idiom. The search for a theatricality considered as a true “mise-en-scène of the psyche” is achieved by the composer through precise dramaturgical strategies: the rigorous, symmetrical architecture, which governs the formal construction of the work; the conception of the second scene – which includes the premonitory “vision” of vengeance – as a “microcosm” of the entire opera; the fact that most of the motivic material comes from a generating nucleus aligned with the tremendous emotional resonance of the figure of Agamemnon in Electra’s psyche; the process of assimilating the principal themes of the opera to the “structural” principles of waltz metre and anapestic tactus, which fill the final pages of the score, to describe the heroine’s spasmodic search for an impossible ecstatic experience.

Scopo di questo contributo è quello di ripensare taluni topoi ricorrenti nella letteratura musicologica sull’Elektra di Strauss e Hofmannsthal, alla luce delle più recenti acquisizioni critiche sul teatro dello scrittore viennese e con il supporto degli studi condotti da Bryan Gillian sulla genesi compositiva della partitura straussiana. L’ipotesi che si intende avanzare è che la «Tragödie in einem Aufzug frei nach Sophokles» di Hofmannsthal sollecitò il musicista a concepire una drammaturgia musicale ben più complessa e compatta di quella conseguita in Salome, opera profondamente radicata nel torbido estetismo fin de siècle. È difficile supporre che Strauss non fosse consapevole della lucida operazione di decostruzione del paradigma culturale e letterario della tradizione occidentale condotta da Hofmannsthal nel suo testo teatrale, che si configura altresì come messa in discussione critica e problematica delle stesse conquiste del pensiero moderno. Basti accennare all’inedito utilizzo del linguaggio della psicanalisi quale strumento privilegiato di appropriazione di un immaginario arcaico: la denuncia dello scacco terapeutico del pensiero freudiano, evidente nell’ideazione del colloquio di Elettra e Clitemnestra come una relazione ‘analitica’ mancata, va di pari passo con la conversione dell’invadenza della ‘parola’ raziocinante, esibita dalla protagonista, in tragica metafora dell’inadeguatezza del logos. Né vanno trascurati il recupero in chiave ironica di taluni aspetti dell’immaginario contemporaneo – come le movenze perturbanti del danzare e il fulgore delle pietre preziose quali requisiti della femme fatale – e ancor più il rovesciamento della visione nietzscheana della grecità: laddove la «danza senza nome» con cui si chiude il dramma non solo si dà come espressione di una corporeità scomposta e devastata, profondamente distante dalla Pathosformel dell’iconografia classica, ma sancisce al tempo stesso l’inattingibilità del dionisiaco nel paesaggio moderno e la sconfitta di qualsiasi speranza di rifondazione ‘estetica’ del mondo. Un’attenta analisi del processo compositivo consente di verificare quanto consapevolmente Strauss sia riuscito a tradurre in una partitura di cogente coerenza il senso profondo di questa rivisitazione novecentesca della tragedia classica: la raffigurazione della modernità come ‘universo strutturalmente malato’ per il tramite di una teatralità concepita come vera e propria ‘messinscena della psiche’. Ci si soffermerà in particolare sulla rigorosa architettura simmetrica che sovrintende le sette scene del dramma e che – sorretta anche dalla distribuzione delle aree tonali – concorre alla creazione di un tempo ‘sospeso’ e circolare, privato di qualsiasi valenza mitica e rituale ma investito di una prepotente forza fantasmatica; sulla concezione della seconda scena – quella della ‘visione’ premonitrice della vendetta – come ‘microcosmo’ dell’opera intera, che si dà come proiezione sonora di un abbacinato sogno di morte; sulla derivazione di gran parte del materiale motivico da un nucleo generatore che collima con la tremenda risonanza emozionale della figura di Agamennone nella psiche di Elettra e che attrae nella propria orbita semantico-musicale anche il personaggio antagonista di Clitemnestra; sul processo di assimilazione – portato a compimento nella scena ultima – dei temi principali dell’opera ai principi ‘strutturali’ del tempo di valzer e del tactus anapestico, che invadono le pagine finali di Elektra per raccontare la spasmodica tensione della protagonista a un’esperienza estatica impossibile.

Per una rilettura di Elektra

G. Seminara
2018-01-01

Abstract

The aim of this article is to rethink some recurring musicological topoi regarding Elektra by Hofmannsthal and Strauss, in the light of the most recent critical insights into his theatrical work and making use of Bryan Gilliam’s research on the compositional genesis of Strauss’s score. The hypothesis put forward here is that Hofmannsthal’s «Tragödie in einem Aufzug frei nach Sophokles» encouraged the composer to create a much more complex and compact musical dramaturgy compared to the one he achieved in Salome. He was influenced by the lucid deconstruction of the cultural and literary paradigm of the Western tradition carried out by Hofmannsthal in his theatrical drama. It is sufficient to mention his criticism of the limits of Freudian thought which is evident in the way he conceives the conversation between Elektra and Clytemnestra as a failed “analytical” relationship; the ironic use of the femme fatale icon, which is central to contemporary imagination; and above all the reversal of the Nietzschean vision of Greek ideals in the dramatic finale of the opera. Elektra’s “indescribable dance” not only reveals the loss of rational language, but becomes the expression of a devastated, dislocated corporeality, very far from the Pathosformeln of classical iconography. At the same time it reveals the unattainability of the Dionysian in the modern world. A detailed analysis of the compositional process makes it possible to verify how well Strauss succeeded in consciously translating the profound meaning of Hofmannsthal’s tragedy into a cogent musical idiom. The search for a theatricality considered as a true “mise-en-scène of the psyche” is achieved by the composer through precise dramaturgical strategies: the rigorous, symmetrical architecture, which governs the formal construction of the work; the conception of the second scene – which includes the premonitory “vision” of vengeance – as a “microcosm” of the entire opera; the fact that most of the motivic material comes from a generating nucleus aligned with the tremendous emotional resonance of the figure of Agamemnon in Electra’s psyche; the process of assimilating the principal themes of the opera to the “structural” principles of waltz metre and anapestic tactus, which fill the final pages of the score, to describe the heroine’s spasmodic search for an impossible ecstatic experience.
2018
Scopo di questo contributo è quello di ripensare taluni topoi ricorrenti nella letteratura musicologica sull’Elektra di Strauss e Hofmannsthal, alla luce delle più recenti acquisizioni critiche sul teatro dello scrittore viennese e con il supporto degli studi condotti da Bryan Gillian sulla genesi compositiva della partitura straussiana. L’ipotesi che si intende avanzare è che la «Tragödie in einem Aufzug frei nach Sophokles» di Hofmannsthal sollecitò il musicista a concepire una drammaturgia musicale ben più complessa e compatta di quella conseguita in Salome, opera profondamente radicata nel torbido estetismo fin de siècle. È difficile supporre che Strauss non fosse consapevole della lucida operazione di decostruzione del paradigma culturale e letterario della tradizione occidentale condotta da Hofmannsthal nel suo testo teatrale, che si configura altresì come messa in discussione critica e problematica delle stesse conquiste del pensiero moderno. Basti accennare all’inedito utilizzo del linguaggio della psicanalisi quale strumento privilegiato di appropriazione di un immaginario arcaico: la denuncia dello scacco terapeutico del pensiero freudiano, evidente nell’ideazione del colloquio di Elettra e Clitemnestra come una relazione ‘analitica’ mancata, va di pari passo con la conversione dell’invadenza della ‘parola’ raziocinante, esibita dalla protagonista, in tragica metafora dell’inadeguatezza del logos. Né vanno trascurati il recupero in chiave ironica di taluni aspetti dell’immaginario contemporaneo – come le movenze perturbanti del danzare e il fulgore delle pietre preziose quali requisiti della femme fatale – e ancor più il rovesciamento della visione nietzscheana della grecità: laddove la «danza senza nome» con cui si chiude il dramma non solo si dà come espressione di una corporeità scomposta e devastata, profondamente distante dalla Pathosformel dell’iconografia classica, ma sancisce al tempo stesso l’inattingibilità del dionisiaco nel paesaggio moderno e la sconfitta di qualsiasi speranza di rifondazione ‘estetica’ del mondo. Un’attenta analisi del processo compositivo consente di verificare quanto consapevolmente Strauss sia riuscito a tradurre in una partitura di cogente coerenza il senso profondo di questa rivisitazione novecentesca della tragedia classica: la raffigurazione della modernità come ‘universo strutturalmente malato’ per il tramite di una teatralità concepita come vera e propria ‘messinscena della psiche’. Ci si soffermerà in particolare sulla rigorosa architettura simmetrica che sovrintende le sette scene del dramma e che – sorretta anche dalla distribuzione delle aree tonali – concorre alla creazione di un tempo ‘sospeso’ e circolare, privato di qualsiasi valenza mitica e rituale ma investito di una prepotente forza fantasmatica; sulla concezione della seconda scena – quella della ‘visione’ premonitrice della vendetta – come ‘microcosmo’ dell’opera intera, che si dà come proiezione sonora di un abbacinato sogno di morte; sulla derivazione di gran parte del materiale motivico da un nucleo generatore che collima con la tremenda risonanza emozionale della figura di Agamennone nella psiche di Elettra e che attrae nella propria orbita semantico-musicale anche il personaggio antagonista di Clitemnestra; sul processo di assimilazione – portato a compimento nella scena ultima – dei temi principali dell’opera ai principi ‘strutturali’ del tempo di valzer e del tactus anapestico, che invadono le pagine finali di Elektra per raccontare la spasmodica tensione della protagonista a un’esperienza estatica impossibile.
'Mise-en-scène' of the psyche Pathosformel Nietzsche Waltz Anapestic tactus
Messinscena della psiche Pathosformel Nietzsche Valzer Tactus anapestico
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.11769/362453
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