La disamina proposta in questo saggio prende spunto dalla precoce manifestazione di un interesse alla conservazione delle vestigia di guerra in Francia nel 1915, quando venne presentato il primo progetto di legge per proporne la tutela, puntando esplicitamente sul loro valore pedagogico. Oggetti intrinsecamente differenti dalle rovine ‘lente’, frutto della dissoluzione operata dal tempo, le rovine belliche partecipano alla costruzione della nuova ‘religione civile’ che si esprime nella monumentalizzazione della memoria dei caduti attraverso gli innumerevoli memoriali, cippi, ossari e cimiteri di guerra che punteggiano come nuovi landmark territoriali la geografia delle regioni devastate. In forma affatto diversa, seppure complementare, le vestigia della guerra (le trincee, i campi di battaglia, le rovine di monumenti e villaggi, persino la vegetazione offesa dall’infuriare dei combattimenti) testimoniano il trauma in forma più sommessa e intima, opponendo alla verticalità impositiva del monumento, l’orizzontalità del divenire rudere, resto, reliquia, interpellando con nuovi interrogativi le pratiche della conservazione. Ma quale può essere oggi il senso della conservazione di questo patrimonio in lenta erosione? Come si può inserire la conservazione delle vestigia all’interno di un territorio ricostituito e di un paesaggio in mutamento ormai ‘pacificato’? Nel corso di un secolo la vegetazione ha ricoperto e circondato rovine e memoriali, invaso i campi, modificato la percezione dei luoghi, persino la cifra della loro “monumentalità”. Ma immutata rimane la consapevolezza di attraversare un paesaggio che costituisce in sé il più reale ed esteso memoriale della guerra, esito di una permanente iscrizione della storia su quel territorio.

Paesaggi del conflitto. La difficile conservazione delle rovine di guerra nei territori della Francia nord-orientale

Vitale, Maria Rosaria
2021-01-01

Abstract

La disamina proposta in questo saggio prende spunto dalla precoce manifestazione di un interesse alla conservazione delle vestigia di guerra in Francia nel 1915, quando venne presentato il primo progetto di legge per proporne la tutela, puntando esplicitamente sul loro valore pedagogico. Oggetti intrinsecamente differenti dalle rovine ‘lente’, frutto della dissoluzione operata dal tempo, le rovine belliche partecipano alla costruzione della nuova ‘religione civile’ che si esprime nella monumentalizzazione della memoria dei caduti attraverso gli innumerevoli memoriali, cippi, ossari e cimiteri di guerra che punteggiano come nuovi landmark territoriali la geografia delle regioni devastate. In forma affatto diversa, seppure complementare, le vestigia della guerra (le trincee, i campi di battaglia, le rovine di monumenti e villaggi, persino la vegetazione offesa dall’infuriare dei combattimenti) testimoniano il trauma in forma più sommessa e intima, opponendo alla verticalità impositiva del monumento, l’orizzontalità del divenire rudere, resto, reliquia, interpellando con nuovi interrogativi le pratiche della conservazione. Ma quale può essere oggi il senso della conservazione di questo patrimonio in lenta erosione? Come si può inserire la conservazione delle vestigia all’interno di un territorio ricostituito e di un paesaggio in mutamento ormai ‘pacificato’? Nel corso di un secolo la vegetazione ha ricoperto e circondato rovine e memoriali, invaso i campi, modificato la percezione dei luoghi, persino la cifra della loro “monumentalità”. Ma immutata rimane la consapevolezza di attraversare un paesaggio che costituisce in sé il più reale ed esteso memoriale della guerra, esito di una permanente iscrizione della storia su quel territorio.
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